E se domani…

Giovanni La Pàrola vive dal 1996 a Bologna, dove ha frequentato il DAMS Cinema. Inizia l’attività col produrre cortometraggi e documentari, fa esperienza come aiuto regista e produttore in alcune produzioni a basso budget. Dal ’96 realizza come regista cortometraggi, documentari…

Giovanni La Pàrola

E se domani…

intervista a cura di Jimmy Milanese

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Giovanni La PàrolaJimmy Milanese (JM): A Maremetraggio siamo con Giovanni Laparola, autore di E se domani, il tuo primo lungometraggio. La domanda di rito per l’autore di un primo lungometraggio: come è stata questa esperienza, visto che hai detto che ti sei trovato quasi per caso a fare il regista?

Giovanni Laparola (GL): È stata un’esperienza formativa strepitosa. Io provengo da una scuola di cortometraggi e ho sempre realizzato cortometraggi nelle maniere più strane, trovando appunto i finanziamenti per realizzarli, trovandomi con amici che poi ho coinvolto anche in parte nel film. Questo è il film in cui esordisco alla regia, assieme al direttore della fotografia, al montatore, allo scenografo e al costumista. Più che altro è stato casuale il modo in cui è nato il progetto, il produttore, grazie a Gianluca Farinelli che è il direttore della Cineteca di Bologna, vide appunto un cortometraggio che avevo realizzato, e mi propose di fare questo film che era già stato scritto, e che successivamente poi ho messo in scena.

JM: Il copione di E se domani è dello stesso autore de Il Caimano. Ma il soggetto invece è tratto da una storia vera. Cosa rimane di questa storia vera nel tuo lavoro?

GL: Della storia vera rimane l’azione, l’azione che fa il protagonista, ossia il fatto di essersi rovinato per amore di questa donna di nome Ketty. Indebitato con la banca, dopo aver fatto una serie di operazioni sbagliate dal punto di vista finanziario, il protagonista decide di assaltare questa banca e di uccidersi, per ribellarsi in qualche modo, con questo gesto folle, a questo “cappio al collo” che il sistema bancario gli aveva messo. Successivamente, durante il tentativo di suicidio, viene consigliato dagli stessi dipendenti della banca di non uccidersi perché non sarebbe cambiato nulla. “Danneggi la banca invece se la rapini”. E quindi da lì s’improvvisa una finta rapina, perchè in verità vorrà disperdere il denaro in cielo e di domenica. Questa operazione si è verificata nella realtà, nel ’97, e su questa poi abbiamo costruito e romanzato il film.

JM: La storia è una storia vera, ma è tratta da uno scritto dell’avvocato che segui questa persona durante la vicenda giudiziaria. È a questa che vi siete rifatti?

GL: La vicenda giudiziaria s’incentrava molto sulla capacità che ha avuto l’avvocato di Armando Cillario di far ottenere gli arresti domiciliari a quest’uomo che aveva: assaltato una banca, sequestrato delle persone e sparato dei colpi. Quindi il caso straordinario era che lui, una volta ottenuti gli arresti domiciliari per il suo cliente, si era ritrovato a dover chiedere al giudice la possibilità che il suo cliente ritornasse in carcere. Questa era abbastanza grottesca come situazione ed è realmente accaduta, cioè il protagonista della reale vicenda ha chiesto di tornare in carcere dopo aver ottenuto gli arresti domiciliari per delle motivazioni abbastanza diverse da quelle che invece ha il protagonista del film. Per il protagonista del film è un problema morale, non può stare a casa della donna che ha amato, poichè si sente “imposto” nella sua vita anziché scelto da lei. Per il reale personaggio, che si chiama Domenico Gargano, il motivo del rientro in carcere era legato al fatto che la sua donna lo tradiva.

JM: Parliamo del montaggio. Tu hai detto che l’opera prima non è solo tua, ma è il frutto del lavoro con diversi tuoi collaboratori. Ci sono diversi spunti interessanti in E se domani… mi viene in mente la scena in cui il matrimonio lascia spazio al funerale, oppure la scena in cui Mimì entra in banca. Insomma, ci sono diversi spunti comici e interessanti. Dall’altra, sembra che il montaggio ogni tanto sia “inceppato”, che ci siano delle unità di passaggio che si inceppano tra di loro. Tu sei soddisfatto del montaggio, visto che anche il montatore è alla sua opera prima?

locandina del filmGL: Intanto il montaggio è stato firmato da due montatori: il primo, Fabio Bianchini, con cui ho collaborato e che era al suo primo film, montatore che ha avuto un trascorso diverso da quello di altri montatori (ha montato documentari per lo più). Avendo già collaborato con me in altri lavori ha collaborato per il film. Con lui praticamente abbiamo sviluppato gran parte del montaggio del film, ossia abbiamo fatto varie strutture del film. Poi, successivamente, il montaggio è passato ad Alessio Doglione, che è un montatore che aveva già montato dei film. Alessio ha preso un pochino tutti questi spunti e ha sacrificato inevitabilmente qualcosa e agevolato qualcos’altro. Io penso che il montaggio del film sia un buon montaggio, nel senso che ha risolto dei problemi di struttura del film, il film sulla carta procedeva in maniera completamente diversa, con una serie di scene che s’inseguivano e che però erano un po’ come dei blocchi chiusi, erano scene che iniziavano e si chiudevano e questo provocava una certa stanchezza soprattutto al centro del film. Io proposi, ad esempio, di spostare le scene nella banca, da un punto quasi finale della sceneggiatura all’inizio del film, creando così un flashback che potesse tenere lo spettatore agganciato agli eventi. Questa cosa credo sia stata la soluzione alle soluzioni di montaggio più importanti, ed ha determinato poi le altre scene. Devo essere sincero, rimpiango certe scene che non esistono più, nel senso che non sono state inserite nel film e che io avrei lasciato rispetto ad altre, scene già girate e già montate. Dovete sapere che il film durava quasi due ore, perché la sceneggiatura era puntata a due ore e quindi abbiamo girato un film che, montato, durava un’ora e quaranta. Poi abbiamo sacrificato 20 minuti abbondanti di film levando delle cose e lasciandone altre. Certe cose le avrei lasciate.

JM: Una delle caratteristiche della commedia “leggera” e “delicata” italiana, almeno negli ultimi 20 anni, è proprio il racconto di un conflitto, che alla fine viene risolto drammaticamente. Il tuo film, bene o male, ricalca questo filone. Ma cosa c’è di diverso nel tuo film rispetto alla commedia classica italiana, drammatica o comico-drammatica?

GL: Questo sinceramente non lo so, cosa c’è di diverso? Bisogna vedere di che commedia stiamo parlando, se parliamo dei casi esemplari che la storia del cinema italiano ci ha regalato, da Germi in poi insomma, o se ci riferiamo invece alla commedia italiana degli anni ’80, il mio lungometraggio ha poco a che vedere probabilmente con quel tipo di film. Questo film, con tutta l’umiltà con cui ci si approccia a un primo film, ha comunque un testo “umoristico” e in qualche modo una struttura da commedia, per quanto si riferisca a un fatto drammatico. Il tentativo è stato di mescolare questi due piani, questi due registri: il drammatico e quindi il tragicomico, creando un’altalena e creando delle scene che scivolassero in maniera naturale dal drammatico al comico o viceversa. Penso che certe punte di surrealismo o di grottesco abbiano aiutato, anche questa bolla che è stata creata, questa stilizzazione anche eccessiva di certi personaggi –ad esempio la direttrice della banca- ha creato un clima sospeso, quasi fumettistico che ha aiutato a rendere tragicomico il film, a creare una specie di bacino che potesse contenere queste due spinte, che sennò potevano sfuggirmi di mano. Poteva diventare un film completamente drammatico e addirittura quasi poco credibile, così come poteva diventare soltanto un film comico. Invece, il tentativo era di tenere insieme queste cose, stilizzando il film, rendendolo fuori dal contesto concreto e riconoscibile dallo spettatore. Abbiamo fatto convivere queste esperienze: quella tragica e quella comica.

JM: Tu hai parlato quindi di questo sincretismo che è tipico della commedia italiana: drammaticità e comicità. Come sappiamo questo film è stato coniato da Luca e Paolo, le due famose Iene. Qual è stato il vantaggio o forse lo svantaggio di lavorare con due personaggi che comunque si auto interpretano, che vanno da soli e che forse non hanno bisogno del tocco del regista?

GL: Luca e Paolo sono stati molto onesti intellettualmente. Si sono messi in gioco parecchio, si sono anche affidati a me. Come io mi sono affidato a loro per certe cose che non conoscevo e non masticavo bene, come appunto i momenti di comicità, o il ritmo interno di certe scene. Loro sono riusciti a sostenermi quando ne avevo bisogno. Poi per il resto si sono messi molto in gioco perché hanno riscoperto in qualche modo quella che è una loro caratteristica, che è un po’ anche la loro esperienza primordiale, poiché loro sono nati come attori di teatro e sono poi successivamente diventati dei personaggi televisivi. In questo film hanno tentato un po’ di recuperare, di lavorare su quell’aspetto che forse in questi anni hanno un po’ abbandonato. Quindi io li ho considerati sempre due attori distinti, due che interpretavano due personaggi nel film e non una “coppia”. Poi è inevitabile che siano una coppia e che si senta dallo scambio e da un certo ritmo con cui riescono a costruire le scene insieme. Però il tentativo è stato quello di dividere.

JM: Per chiederti sul tuo futuro passo attraverso una considerazione sul film. Una cosa che si nota molto bene è che mancano i riferimenti alla tecnologia, all’attualità, alla modernità. Come dicevamo prima non c’è l’uso del telefonino, l’ambientazione è fumosa, si fa anche fatica a capire lo spazio temporale in cui questo film è ritagliato. ネ questa l’impronta che vorrai dare ai tuoi prossimi lavori, oppure è stato un caso a parte e forse in futuro farai qualcosa d’altro?

Giovanni La PàrolaGL: No, io penso che sia una condizione particolare di questa storia. Questa scelta stilistica attraversa tutto il lungometraggio, attraversa i colori del film, il trattamento fotografico, la scenografia e i costumi. Sono sicuro che sia una decisione particolare rispetto a come è vissuta questa storia. In futuro penso che farò cose diverse. Me lo auguro, più che altro perché penso che il trait d’union, il filo conduttore delle cose che finora ho fatto, sia il fatto che racconto sempre delle storie. Ad esempio, il mio cortometraggio Pugile mi ha permesso di farmi conoscere a questo produttore che poi mi ha proposto il film in cui si parla di sognatori. Personaggi che tentano di recuperare costantemente uno spazio, di agganciarsi, di restare ancorati a un’idea di sé, e quindi della realtà, che spesso è slegata dal concreto, che “cozza” col concreto. Il conflitto nasce lì, nasce quando sia il pugile che Mimì Rendano si rendono conto che la realtà è diversa da come loro continuano a riproporsela. E quindi quello forse sarà il collegamento anche col prossimo lavoro, di cui non vorrei parlare perché in questi giorni lo stiamo discutendo. Poi stilisticamente non lo so, il mio modo di guardare le cose penso rimarrà, la spinta rimarrà la stessa, le scelte cambieranno inevitabilmente. Non credo che farò un altro film come E se domani.

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Giovanni La Pàrola vive dal 1996 a Bologna, dove ha frequentato il DAMS Cinema. Inizia l'attività col produrre cortometraggi e documentari, fa esperienza come aiuto regista e produttore in alcune produzioni a basso budget. Dal '96 realizza come regista cortometraggi, documentari, trailer teatrali, video-clip, performance multimediali per istallazioni e concerti. Dal 1998 firma le sue produzioni come “Magenta”, network culturale con il quale si propone di attivare un dialogo tra le sue realtà produttive e le creatività provenienti da vari ambiti culturali, producendo serie tv per canali satellitari. Nel 2004, prima della regia del suo primo lungometraggio, “E se domani”, realizza “Il Pugile” un mediometraggio visionario e trasognato sul piccolo mondo della boxe. Pluripremiato a festival e rassegne internazionali, è stato l'Evento Speciale fuori concorso al Festival del Cinema Italiano di Annency 2005. Tra i suoi lavori ricordiamo: Costernazione, Non è successo niente, in concorso al 17° Torino Film Festival, Aira/Aria in concorso a Visioni ambientali 2002, Tiramisù, e Still Life, vincitore del premio Cesare Zavattini 2002.

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