Se il sorriso non deve andare in secondo piano

Luca Lucini, regista. Nato nel 1967, dal 1993 al 1997 lavora come assistente alla produzione per un programma televisivo di Super Channel London. Nello stesso periodo realizza numerosi video musicali per molti artisti italiani. Seguono negli anni successivi la regia di spot…

Luca Lucini

Se il sorriso non deve andare in secondo piano
intervista a cura di
Sara Visentin

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Sara Visentin (SV) Noi siamo al festival del cortometraggio e tu hai fatto proprio un passaggio dal cortometraggio al lungometraggio. Come è stata quest’esperienza? Un altra domanda, quale consideri essere stata la tua prima vera esperienza registica?

Luca Lucini (LL) Nel passaggio devo dire che sono stato molto fortunato, perché la casa con cui ho fatto il cortometraggio mi ha proposto poi di girare il lungometraggio. Era una casa di produzione molto grossa e quindi è stato più facile che in altri casi. Per fortuna il cortometraggio che ho realizzato è andato molto bene e ha vinto diversi festival. È stata ovviamente un’esperienza molto positiva perché è il sogno di tutti realizzare un lungometraggio. Per quanto riguarda la mia prima vera esperienza registica, ero con due amici a Milano in questa specie di scantinato e con dei budget ridicoli, dagli 800mila lire al milione, giravamo questi videoclip per gruppi metal dell’underground milanese. Facevano una colletta fra i vari genitori e venivano lì con una busta con un po’ di soldi e noi cercavamo di fare del nostro meglio. Ovviamente i primi risultati erano abbastanza drammatici però ogni volta, pian piano, riuscivamo a migliorarci fino a riuscire a rubare le prime scatole di pellicola dalle case di produzione e a girare in pellicola le prime cose. Da lì in poi è stata sempre una crescita per noi tre.

SV: Come è stata l’esperienza sul set cinematografico de “L’uomo perfetto”? Come è stata la scelta e il lavoro con gli attori?

LL: È stata un’esperienza stupenda che veramente mi ha fatto crescere molto. Mentre “Tre metri sopra il cielo” è stata emozione, entusiasmo, eravamo tutti giovani, “L’uomo perfetto” è quello che volevo fare io, è la commedia brillante con tutti i canoni della commedia brillante che è un genere che in Italia non è molto considerato. Abbiamo guardato molto all’equilibrio, alla sofisticazione, di alcune commedie alla Blake Edwards, alla Billy Weider, e anche alla Monicelli, Comencini. Quindi mi sono reso conto che le forze di una commedia erano le sfumature degli attori, era molto importante la scrittura, l’interpretazione, l’appoggiare il personaggio veramente sull’attore che poi l’avrebbe interpretato, dando anche a lui molto spazio. Quindi abbiamo lavorato in questa direzione e sono molto soddisfatto perché il risultato, oltre che essere andato bene al box office ed essere stato un successo cinematografico è stato proprio recepito per quello che era, cioè un film senza pretese autoriali o ambizioni irrisolte, ma proprio come la volontà di fare un buon prodotto con carattere di commedia brillante.

SV: La commedia è ambientata a Milano. È stata una scelta già stabilita dalla sceneggiatura o sei stato tu a decidere di ambientarla lì? Come è stato, per te che sei nato e cresciuto a Milano, lavorare nella tua città?

LL: In realtà i film purtroppo nascono sempre a Roma, cioè si dà per scontato che si debba girare lì. Io leggendo la storia , che è un adattamento da una sceneggiatura spagnola, ho trovato che c’erano caratteristiche che erano sicuramente più credibili a Milano: lei lavora in un’agenzia di pubblicità, anche tutto il tipo di rapporti fra di loro, quel po’ di cinismo che c’era nelle due amiche. Allora ho “lottato” per girarlo a Milano, nel senso che ho dovuto rinunciare ad una settimana di riprese perché è una città molto costosa. Non mi sono trovato benissimo dal punto di vista burocratico, perché Milano non è una città adatta cioè con una film commission all’altezza, quindi spesso abbiamo avuto dei problemi logistici di permessi, di spostamenti, come con la Scala. Però alla fine il risultato è stato quello che speravo. Milano come al solito o è la macchietta di yuppies in “Vacanze di Natale” o è una città tristissima di sobborghi e basta. In questo caso è lo sfondo credibile di una vicenda, senza diventare protagonista come può essere Roma. Quando giri a Roma la città diventa inevitabilmente protagonista.

SV: L’amore è stato il tema fondamentale dei tuoi film, di tutto ciò che hai fatto finora. Che peso ha secondo te questo sentimento nella società di oggi? Diciamo una società in cui il lavoro, il fatto di arrivare sia dal punto di vista lavorativo che personale supera quasi tutto il resto.

LL: Secondo me ovviamente l’amore è importantissimo ed è comunque il motore della nostra vita e spero che lo sarà per sempre. Quello che abbiamo fatto, nel primo film (“Tre metri sopra il cielo” – n.d.r.) è stato cercare di dare di nuovo la voglia di sognare e di emozionarsi a delle generazioni che ormai spesso vengono considerate solo degli sfoghi del mercato. Si cerca di fargli comprare qualsiasi cosa, di creare mode, di vendere dischi, di mandarli al cinema, senza alcuna vera intenzione di far emozionare e sognare i ragazzi. Invece, anche il successo del libro e del film hanno dimostrato che i teenager, i giovanissimi, hanno voglia di emozionarsi. Il secondo film invece (“L’uomo perfetto” – n.d.r.) descrive una situazione di adesso, che è secondo me una sorta di confusione nei rapporto uomo-donna e nel loro ruolo. Stiamo attraversando un momento di passaggio e non sappiamo neanche dove si arriverà, sicuramente la nostra generazione sta vivendo una sorta di confusione ed è quello che volevamo descrivere. Le donne non sono più contente degli uomini che hanno, gli uomini non sanno più come comportarsi rispetto alle donne e quindi viene tutto un po’ un pastrocchio di atteggiamenti.

SV: Come è cambiato il tuo modo di lavorare ne “L’uomo perfetto” rispetto a “Tre metri sopra il cielo”?

LL: Come dicevo ho dovuto lavorare molto di più sulla scrittura, sugli attori, sulle sfumature. Mentre in “Tre metri sopra il cielo” si menavano, c’erano gare in moto, baci, scene d’amore ed era molto emozionante qualsiasi cosa, cioè era più incalzante il ritmo e succedevano tante cose proprio fisicamente, ne “L’uomo perfetto” la questione era più sottile e più sofisticata. Alla fine erano quattro persone quasi sempre intorno ad un tavolo che parlavano e quindi bisognava creare con le sfumature e con l’equilibrio fra le parti, l’atteggiamento, il divertimento, e quello che poteva risultare giusto per descrivere la storia.

SV: Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Come ti stai muovendo, cosa hai intenzione di fare?

LL: Mi hanno fatto leggere il libro di un australiano, molto interessante con dei risvolti drammatici rispetto a quest’ultimo (film –n.d.r). Mi è piaciuto molto e adesso stiamo sviluppando la sceneggiatura e speriamo di farne un film.

SV: In bocca al lupo.

LL: Crepi. Ciao.

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